Slow Light – Seeking Darkness – l’inizio

In questo devlog condividerò con voi il processo tecnico e creativo di un progetto artistico che ha uno sviluppo parziale in VR.

A giugno 2022 vengo contattato via email da Zahra e Karin, di Klanghaus Untergreith, un centro internazionale per l’arte sonora, riguardo ad un progetto con 3DVista per creare un tour virtuale in una serie di installazioni sonore e visive. La richiesta era la programmazione avanzata di un tour fruibile via web. 3D vista è un software che permette di creare dei tour point to point con immagini fotografiche sferiche ed è il software che utilizzo per i tour virtuali di fluido360.com.

Il progetto mi è sembrato subito interessante anche se le richieste di interazione con i contenuti erano molto al limite di un utilizzo standard di 3D Vista o meglio, il progetto si prestava a superare le limitazioni tecniche di un software per tour virtuali. L’unico dilemma che mi legava ancora all’utilizzo di 3DVista era la necessità che fosse fruibile via web.

Per ogni lavoro che affronto cerco sempre di capire il perché della scelta di una tecnologia immersiva e cerco di condividere le altre possibilità. In questo progetto ho percepito immediatamente la potenzialità di un’esperienza in VR che superava l’utilizzo di un sistema point-to-point seppur vincolato dalla necessità della fruizione via browser. Mentre mi raccontavano il progetto non sentivo il bisogno di vagare in un catalogo di suoni o immagini, ma di fare un’esperienza, perdermi nella luce e nel buio, andare alla ricerca del suono e dei colori.

Il primo step è stato di condividere questa visione e comprendere, anche dal punto di vista delle autrici del progetto, se questa mia visione è corretta e collima con la loro. Il modo migliore per far comprendere un’idea o un concetto con la realtà immersiva non è spiegarla, bensì farla esperire. Così ad agosto mi organizzai per far fare una prova con i visori spiegando le due tipologie di esperienze che immaginavo per un progetto del genere, una in VR e una in MR.

Quando inizio i corsi o i laboratori, una tra le cose che chiedo ai partecipanti, è se hanno mai usato un visore e noto sempre che la percentuale di persone che lo hanno semplicemente provato è bassissima, per non parlare di chi lo utilizza con più assiduità. Per questo motivo uno dei passaggi importanti è far provare la tecnologia, di far vedere e di far toccare con mano le possibilità che ci sono. Questo permette di sviluppare nuove idee o, magari, implementare delle idee che erano relegate al mondo delle probabilità in quanto non si conoscono le potenzialità del mezzo.

Come sempre, la prova delle tecnologie ha fatto ripensare, riassestare l’uso della tecnologia e delle tecniche di racconto. Reputo che ogni progetto che utilizza la tecnologia immersiva non deve essere un mero elenco di contenuti, ma un ecosistema. I contenuti non sono oggetti ma agenti sono miei pari all’interno dell’esperienza la cui fruizione deve essere più libera possibile. Questo vagare, spostarsi, fermarsi all’interno di uno spazio è un atto mnemonico, un atto creativo in quanto, io fruitore, creo la mia memoria, il mio viaggio nell’esperienza stessa. Questo dovrebbe essere la base di un lavoro in VR all’interno di un progetto artistico, che sia fruito via visore, via schermo o attraverso qualsiasi altro supporto.il device non fa alcuna differenza.