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Realtà immersive e letteratura

La fantascienza è stata sempre fonte ispiratrice e spesso anticipatrice di molte tecnologie e lo è anche per le tecnologie immersive.

Senza togliere nulla a Platone e la sua caverna farei partire la letteratura che parla di realtà immersive, che siano virtuali, aumentate, miste, con la consacrazione della fantascienza come genere letterario che ebbe inizio nel 1926 con la pubblicazione di Amazing Stories ad opera di Hugo Gernsback, che abbiamo già conosciuto ne Le origini della tecnologia come inventore dei Teleyeglasses. Amazing Stories è la prima rivista dedicata interamente alla fantascienza e divenne molto popolare tanto da dare inizio agli anni d’oro della fantascienza e fece in modo che diventasse un vero e proprio genere letterario. Una decina di anni più tardi troviamo il primo racconto che descrive una sorta di realtà virtuale. Nel 1938 Stanley G. Weinbaum pubblica Pygmalion’s spectacles.

In questo breve racconto il personaggio principale incontra un’inventore che gli mostra degli occhiali (spectacles) che indossati portano a visitare un mondo diverso da quello reale. La simulazione, nel racconto viene definita un’illusione identica alla realtà. Tutti i sensi ne sono coinvolti e si può addirittura interagire con le “figure” all’interno di questo mondo semplicemente parlandoci.

Per leggere la prima volta il termine realtà però non dobbiamo aspettare un libro di fantascienza ma lo troviamo in un saggio di teatro. Nel 1938 il drammaturgo francese Antonin Artaud ne Il teatro e il suo doppio descrive lo spazio immaginario che si ottiene combinando attori, scenografie, racconto di un’opera teatrale come realtà virtuale. Non è una descrizione tecnologica, ma il concetto alla base è il concetto che accompanga le esperienze immersive.

Nel 1940 lo scrittore argentino Adolfo Bioy Casares pubblica L’invenzione di Morel, un romanzo nel quale descrive l’esperienza di un naufrago con una tecnologia che crea delle immagini registrate simulando la realtà. Solitamente questo romanzo non compare negli elenchi delle opere legate alle realtà virtuali ma, a mio avviso, l’utilizzo della macchina che scopre e i fini dell’invenzione stessa hanno molti punti in comune con le ricerche tecnologiche di questo periodo storico.

Nel 1951 un altro racconto breve anticipa una tecnologia che sarebbe stata sviluppata agli inizi degli anni ’90. Ray Bradbury nel suo racconto The Veldt/La savana descrive una stanza dove sulle pareti vengono proiettati gli ambienti immaginati dai bambini. Il racconto ha un finale molto particolare e la tecnologia descritta assomiglia molto alla tecnologia alla base dei C.A.V.E. systems che abbiamo incontrato ne La prima onda della realtà virtuale.

Nel 1957 nel libro di Isaac Asimov Il Sole nudo, l’autore racconta di una società che considera il contatto fisico qualcosa di ripugnante e una perdita di tempo e i contatti avvengono tramite dei visori con degli ologrammi proiettati.

Uno tra i romanzi più importanti e il primo che mette in contrapposizione la realtà oggettiva con la realtà virtuale è Simulacron-3 di Daniel F Galouye del 1964. Questo romanzo è stato d’ispirazione a molti film che hanno affrontato il tema della realtà virtuale e della simulazione.

Il concetto di realtà virtuale come mondo parallelo è presente anche ne Il vero nome di Vernor Vinge, racconto breve del 1981 dove il mondo virtuale parallelo è denominato Altro Piano (Other Plane).

Nel 1982 Damien Broderick pubblica The Judas Mandala, romanzo non ancora tradotto in italiano, dove si usa per la prima volta nella fantasicenza il termine virtual reality e virtual matrix.

Neuromante di William Gibson del 1984 è sicuramente uno dei romanzi più importanti dell’ambito della fantascienza contemporanea. In questo romanzo si descrive un mondo digitale definito cyberspace (cyberspazio o ciberspazio) dove gli abitanti vivono “un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori“. Per la precisione il termine cyberspace viene usato da Gibson già in La notte che bruciammo Chrome, ma in Neuromante assume la forma che entra nell’immaginario collettivo per definire l’insieme di dati interconnessi. Per molto tempo venne utilizzato per definire la rete internet e anche i primi mondi virtuali. Gibson con la sua Trilogia dello Sprawl diede anche inizio al movimento cyberpunk.

Gibson ne La luce virtuale del 1993 descrive anche un sistema di realtà aumentata.

Il romanzo post o tardo cyberpunk Snowcrash di Neal Stephenson del 1992 coniò un nuovo termine che di fatto andava ad integrare il cyberpunk con la presenza di avatar e questo termine è Metaverso. Stephenson lo descrive così: ” Naturalmente, non sta vedendo persone reali. È solo una parte dell’immagine disegnata dal suo computer, in base ai dati provenienti dal cavo a fibre ottiche. Le persone sono dei software detti avatar. Si tratta di corpi audiovisivi che la gente usa per interagire nel Metaverso“. Il metaverso è un termine che ora definisce una tecnologia.

Altri romanzi e racconti negli ultimi anni parlano di realtà virtuali come Alla fine dell’arcobaleno di Vernor Vinge del 2009 ma uno tra i più influenti e sotto qualche punto di vista profetico è stato sicuramente Ready Player One di Ernst Cline del 2010 dove si descrive una società digitale parallela alla società reale ormai in degrado, seguito da Ready Player Two del 2020.

Link:
Testi sulla realtà virtuale e la realtà aumentata