Io e i miei avatar

Negli ultimi mesi, a causa del COVID-19, si è visto un rifiorire di mondi digitali per creare eventi, incontrare persone o semplicemente condividere la situazione che si sta (stava) vivvendo. In particolar modo hanno visto aumentare i propri utenti i social VR, che fino a quel momento erano luoghi abitati e frequentati dai soli appassionati e da qualche sporadico turista tecnologico. Chi ha provato a fare un giro sulle varie piattaforme come AltspaceVR, VRChat o Hubs ha visto che gli altri, e di conseguenza noi, siamo rappresentati da figure tendenzialmente fumettose. Forse ho usato il termine rappresentati in modo sbagliato e la questione sta se quella rappresentazione siamo noi o una nostra proiezione.

Origini

Il termine Avatar deriva dalla cultura induista ed identifica l’incarnazione di un dio in un corpo fisico. Nel mondo dei computer l’avatar definisce il nostro alter ego digitale e questo vale anche per i mondi digitali o virtuali.

In questo video Richard Garriott racconta come il termine è entrato nel mondo digitale e di fatto potremmo definire Garriott “l’inventore” di questo termine nell’ambito del gaming e di conseguenza dei mondi virtuali.

Il termine è stato poi ripreso e reso popolare da uno degli autori più influenti del cyberpunk, Neal Stephenson nel suo Snow Crash e diventato popolare nell’ambito del gaming, ma non solo e lo vedremo a breve.

Second Life ed i “digital selves”

Nel 2001 viene creata la prima struttura di LindenWorld che qualche anno più tardi diventò Second Life e molti utenti di SL definiscono il mondo virtuale o meglio i mondi virtuali Metaverso, utilizzando il termine coniato da Stephenson in Snow Crash per identificare il mondo digitale tridimensionale (realtà virtuale) connesso ad internet dove tutti possono accedere con i propri avatar. Mi avvicinai a Second Life proprio per questo motivo, la possibilità di condividere degli spazi (digitali) con altre persone (digitali). I primi tempi su SL gli avatar venivano chiamati Primitar, perché erano le primitive che formavano la figura degli abitanti di SL. Un po’ quello che succede nei nuovi mondi virtuali, gli avatar sono estremamente semplici in prima battuta.

Frequentai Second Life fino al 2007 poi vidi il declino vedendo solo mondi abitati da persone che passavano la giornata a raccogliere Linden Dollars alle macchinette o vendere gadget per migliorare i propri avatar, le dinamiche del mondo reale avevano preso il sopravvento sulla poesia del digitale. Recentemente ho scoperto che molti invece hanno continuato e in modo molto più sensato e mi ha fatto piacere che il lato idealista dei mondi digitali sia sopravvissuto nelle brecce delle nuove economie.

Quando ci si iscrive su una piattaforma di mondi virtuali si deve decidere come sarà il nostro avatar e SL non è un’eccezione. In questo documentario si parla di come una persona decide il proprio avatar ma da un punto di vista particolare.

Questo documentario lo ritengo importante perché si sofferma sul coem ci rappresentiamo. Senza fare grossi spoiler per chi ha letto o visto Ready Player One può identificare un personaggio che è rappresentato in modo molto diverso dalla realtà. Questo sicuramente è un aspetto cha va studiato in modo più approfondito, perché scegliamo un avatar che ci assomiglia oppure uno che non ci assomiglia affatto.

The Uncanny Valley

L’uncanny valley è una teoria degli anni ’70 nata nell’ambito della robotica ed analizza la sensazione, le reazioni che abbiamo quando guardiamo un robot. Più ci si avvicina alla figura antropomorfa del robot più la sensazione di piacevolezza e relativo comfort aumenta fino ad un certo punto quando questa somiglianza diventa “perturbante”. In breve ad un certo punto la rappresentazione antropomorfa passa da emozioni positive a sensazioni tendenzialmente negative. Questa teoria può essere applicata anche alla rappresentazione degli avatar, più si avvicinano alla figura umana più diventano “fastidiosi”.

Questo è forse il motivo per cui gli avatar sono tendenzialmente “fumettosi” e non rappresentazioni fotogrammetriche della propria immagine e queste ultime possono risultare “perturbanti”.

Un aspetto che mi ha fatto pensare all’uncanny valley in modo diverso è una call su Zoom alla quale ho partecipato recentemente. Il tema erano i mondi virtuali ed era uno scambio di opinioni sull’aspetto dell’architettura dei mondi virtuali. Tutti eravamo con la webcam (in realtà io condividevo lo schermo per la presentazione live di alcune ambientazioni) tranne uno di noi che era collegato con il proprio avatar connesso da un visore. La cosa che mi ha colpito era che l’espressività dell’avatar, con i movimenti della testa e delle mani (grazie al visore), spesso risultava superiore all’immagine delle webcam da Zoom che ormai siamo abituati a vedere quotidianamente.

Cosa implichi questa piccola osservazione non lo so, ma la presenza dell’avatar mi dava una “umanità” comunicativa che il selfie-animato-webcam-style non mi dava.

Mi viene in mente un passaggio da “L’alba del nuovo tutto” di Jaron Lanier quando parla del suo primo incontro con un avatar:

“L’altra persona appariva come un avatar rudimentale: una figura liscia e dai colori vivaci con una testa da cartone animato, un copro praticamente anonimo e mani svelte dal curioso aspetto tubolare… Il primo volto di un avatar in realtà virtuale fu disegnato da Ann Lasko con venti poligoni; una faccia come un origami.
Eppure, nonostante i dettagli limitati, si stava manifestando la presenza di un essere umano.”

Jaron Janier, L’alba del nuovo tutto – pag. 212

e poi continua sul discorso dell’umanità dell’avatar

“La verità viscerale della presenza umana all’interno di un avatar è la sensazione più intensa che io abbia percepito nella realtà virtuale.”

Jaron Janier, L’alba del nuovo tutto – pag. 213