Oggi ho letto un articolo su Wired e ho visto che molti lo hanno condiviso. L’autore descrive cosa si prova quando si indossa un visore per la VR, se volete leggere l’articolo lo trovate qui, in particolare mi piace soffermarmi sulla parte nellaquale descrive la dissonanza cognitiva del camminare nel vuoto.
Recentemente ho sviluppato un progetto per Oculus Quest che conteneva un’esperienza simile ma anche un’altra che riguardava il teleport. Il progetto è il MIRA Morandini, ideato dall’architetto Gabriele Pitacco.
Tempo fa mi contattò per realizzare un progetto di un museo in realtà aumentata, il concetto era molto interessante ma gli proposi di svilupparlo con una tecnologia diversa, la VR con l’Oculus Quest. Quando glielo proposi il Quest non era ancora comparso sul mercato italiano, ma stavo già sperimentando su Unity alcuni elementi sia di navigazione che di spazialità che poi avrei proposto a Gabriele.
Non entro nella descrizione del progetto anche perché sarà tema di uno dei prossimi episodi della Linea di stitching dove ho fatto una chiacchierata con Gabriele che spiega nel dettaglio l’aspetto architettonico, che è una delle parti più interessanti del progetto.
Ritorno però sul concetto di dissonanza cognitiva, di quella sensazione che ci fa dire WOW, che fa comparire quel sorriso in chi prova un visore per la prima volta. Devo essere sincero che l’effeto WOW l’ho provato e lo sto vedendo anche negli ultimi mesi da quando sto facendo delle demo con il Magic Leap.
Da cosa dipende questo WOW. Iniziamo da un concetto che è quello della presenza, che potremmo definire la senzazione di essere in un luogo. Negli ultimi anni si sono sviluppate diverse teorie sulla presenza ma Mel Slater è uno dei ricercatori che l’ha definita megli con le sua teoria dell’illusione divisa in place illusion (illusione del luogo) e plausability illusion (illusione plausibile). Su queste due illusioni si sono sviluppate due teorie: la teoria percettiva della presenza e la teoria elementare della presenza. Quando indossiamo un visore “entriamo” in uno spazio altro dallo spazio fisico della nostra realtà. Non voglio entrare nel vortice delle definizioni della realtà o in possibili implicazioni di pillole rosse o pillole blu di Matrixiana memoria, diciamo che siamo d’accordo che la realtà è quella che normalmente definiamo come tale, ovvero il quotidiano in cui viviamo, l’ambiente che ci circonda. L’effetto che si percepisce quando si indossa un visore è difficile da spiegare e, come dico sempre, è meglio provare. Se non avete mai provato la realtà virtuale vi consiglio di farlo.
Per capire il concetto di presenza in VR consiglio la visione di questo video di Mel Slater sulla presenza
In sostanza la presenza è una forma di illusione in quanto il nostro apparato visivo riceve degli stimoli creati artificialmente. Per ottenere l’immersività dobbiamo aggiungere l’agentività o agency che è la capcità di agire ed influenzare l’ambiente artificiale. La sola possibilità di poter girare la testa e avere la percezione dello spazio digitale ruotare attorno a me mi da quella sospensione dell’incredulità che basta per immergermi nell’esperienza.
L’effetto WOW alla fine non è nient’altro che la possibilità di agire all’interno di un ambiente immersivo, sembra poco ma quest’illusione è molto forte e permette di creare esperienze molto “convincenti”. L’esempio ne è il teleport e oltrepassare una balaustra al 5° piano e camminare nel vuoto virtuale.